Un manuale di "autostima scientifica"

Un manuale di "autostima scientifica"



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Basta fare una piccola, banalissima ricerca su Wikipedia per vedere che il concetto di autostima è "nato" con David Hume, nel XVIII secolo. Da allora, tale costrutto ha fatto capolino ed è stato "reimmesso a forza" in un'innumerevole quantità di teorie psicologiche e psicoterapeutiche, fino a diventare un tema estremamente presente nel dibattito odierno. Probabilmente, in seguito all'emergere dell'ossessione contemporanea per la mostra e l'ottimizzazione di sé, si è infatti aperto un vero e proprio "mercato" di soluzioni per l'autostima, che ha portato con sé anche la solita orda di banalizzazioni, soluzioni-fuffa e "disastri pseudoterapeutici". Come amo spesso sottolineare infatti, c'è un problema di fondo quando un concetto diviene troppo "vendibile": finisce per essere smerciato come contenitore di tutto e del contrario di tutto; come lente attraverso cui leggere e interpretare dei fenomeni spesso anche eccessivamente differenti tra loro. Non ti senti a tuo agio nel tuo corpo? Devi migliorare la tua autostima. Non sai cosa fare della vita? Migliora la tua autostima. Un rifiuto in amore ti ha "atterrato" per settimane? Problema di autostima (o, se volessimo andare a raschiare nel barile delle espressioni che non vogliono dire nulla, "di insicurezza"). Ma soprattutto, comincia a emergere a mio avviso un vero e proprio problema di definizione: se mi butto da un burrone alto seicento metri credendo di poter mettere le ali, quella è "autostima"? Oppure, se il "credere un po' di meno" nelle proprie potenzialità in un preciso campo si rivela cauto e funzionale, perché di preciso bisognerebbe massimizzare il livello della propria autopercezione a tutti i costi?
Sia chiaro, diverse teorie psicologiche ci hanno già provato a rispondere a domande simili, spesso anche con risultati "semidecenti", ma a mio avviso il punto è: quando un termine diventa un contenitore per troppe definizioni possibili, è probabile che nel migliore dei casi esso perda di utilità e, nel peggiore, apra i cancelli al disastro.
Come d'altronde evidenziato anche da persone ben più intelligenti e preparate di me, ragionare su sé stessi attraverso questa chiave può risultare anche incredibilmente pericoloso e il rischio è quello di imprigionarsi in un devastante ciclo, fatto di "iniezioni droganti" di autostima artificiale, e conseguente crollo ogniqualvolta la realtà ci presenta il suo conto (questa, una regola universale: più ci dotiamo di strumenti di cambiamento superficiali o non sostenibili, e più un "crollo al di sotto delle condizioni di partenza" è sempre dietro l'angolo). Se l'argomento ti interessa quindi, prova piuttosto a mettere da parte per un po' l'autostima come obiettivo o concetto, e concediti piuttosto di riflettere sulle seguenti chiavi:

 

"Più ci dotiamo di strumenti di cambiamento superficiali o non sostenibili, e più un "crollo al di sotto delle condizioni di partenza" è sempre dietro l'angolo."

 

Non sei tu il problema, è la condizione umana

In un'epoca in cui le piattaforme digitali sembrano solo evidenziare quanto siano straordinarie le esistenze altrui, è facile sentirsi come se fossimo le uniche anomalie sulla terra, e quindi può diventare estremamente arduo costruirsi un senso di identità su cui contare. O peggio, diviene estremamente facile sentirsi soli, emarginati, "sbagliati". Ma un consiglio che offro sempre per smontare questa percezione è: visita un qualsiasi sito o blog dedicato alla salute mentale, dove gli individui si confidano anonimamente sulle proprie ansie. Dopo un breve periodo, farai probabilmente tua la consapevolezza che il problema è ben più grande. Tutti noi, senza eccezione, temiamo di sbagliare, di essere rifiutati, di cadere o di non essere all'altezza. Quando la vita ci sorride abbiamo paura di rovinare tutto, e quando le cose non vanno come previsto ci sentiamo spesso sommersi dalla disperazione e dall'impotenza. Inoltre, troppo frequentemente aggiungiamo inutili tormenti a questa condizione, pensando che "non dovremmo sentirci" così, "non dovremmo ragionare" in quel modo, "non avremmo dovuto fare" quell'errore. Ci ritroviamo, magari tra una confessione e l'altra, a postare sul nostro profilo Instagram quanto sia avanzato il nostro ultimo smartphone (che, sia chiaro, non c'è nulla di male: ogni tanto distrarsi con qualcosa di leggero fa bene al cuore). Ma alla fine, torniamo ad essere "pallino_92" che si corica ogni notte con la paura di non sapere chi sarà al risveglio. Tuttavia, c'è una risposta a tutto questo caos, ed è semplice: prova a lasciare andare tutti quei "non dovrei". Non potremo mai liberarci completamente di queste fragilità, ma possiamo imparare a conviverci, a gestirle e a proseguire nonostante la loro presenza. Non sei tu il problema, è la condizione umana che è "curiosamente complessa", e in fondo "va bene così"; non perché sentirsi "uno schifo" sia bello o divertente, ma perché dobbiamo entrare nell'ottica che è normale, accettabile, comprensibile. E che, soprattutto, questo sentirsi così può non dover essere sempre colpa nostra, ma può essere responsabilità di un ambiente tossico, ostile, non accogliente. Questo senso di "giusta accettazione" è l'unico modo per rifiutare gli ambienti tossici, convivere più pacificamente con la nostra natura, per elaborare piani per stare meglio con noi stessi, per ripartire e ricostruire proprio sulla base delle proprie fragilità e imperfezioni. Ma soprattutto, come dico sempre, per "deresponsabilizzarsi" laddove serve, e per iniziare la giusta ricerca di un sistema, ambiente e progetto di vita più compatibile con la nostra essenza e il proprio sistema di valori.

 

"Non sei tu il problema, è la condizione umana che è "curiosamente variegata", e in fondo "va bene così."

 

Considera che l'eccellenza è una ricetta che si presta a molte possibili varianti

È estremamente comune, nella nostra cultura della semplificazione, cadere in classificazioni grossolane come “intelligenza innata”, “persona di talento” e simili. E così è anche altrettanto facile costruirsi un senso di identità del tipo 0/1, sul genere di "sono o non sono intelligente, ho oppure non ho talento etc." e quindi queste sono esattamente le cose che potrò fare o meno. Ci costruiamo un destino predeterminato sulla base di computazioni errate, agendo come un pilota d'aerei che imposta la propria rotta tirando una manciata di dadi.
Ma come insegna anche il bellissimo film “Gattaca”, (e da me citato nel mio ultimo libro, Neurohacking), è imperativo non arrendersi mai a un presunto determinismo genetico, o biologico, e diviene necessario acquisire piuttosto una consapevolezza più realistica dei propri spazi di crescita e manovra.
È banalissimo d’altronde, eppure non se ne esce: se crediamo di essere un “insieme di numeri” definiti dal nostro DNA, o dalla nostra storia, è molto probabile che tali rimarremo; se invece ci concediamo di essere qualcosa di più (in base, ovviamente, a quello che è il nostro sistema di valori), imbracceremo tutta la complessità reale di un concetto come “performance”, aprendoci a spazi inediti di esplorazione del nostro potenziale. Perché sì, i concetti di eccellenza, realizzazione, successo, sono tutti estremamente complessi e non sono definibili sulla base di una insieme ristretto di variabili; anzi, si tratta di ricette che si prestano a più proposte alternative di quanto potremmo immaginare.
Anche se prendiamo alcune delle nostre qualità come "fisse" (perché sì, accadrà, è possibile, ma è anche importante comprendere che va bene così), il nostro stesso concederci questi nuovi spazi potrà comunque consentirci di aggirare queste fissità; se difettiamo in ragionamento logico-matematico per esempio, potremo sempre provare a sviluppare una forte intuizione creativa. Oppure, se non siamo naturalmente portati per la leadership, potremmo sempre diventare esperti nel lavoro di squadra e nella collaborazione. Oppure ancora, se non siamo fisicamente forti, possiamo sempre coltivare una resistenza mentale e una determinazione invidiabile. Possiamo aggirare le nostre fissità, inventare nuovi sistemi, recuperare terreno spingendo di più sulla maturazione di qualità come resilienza, determinazione, creatività; imparando a implementare scorciatoie, facilitatori, o perché no, anche "trucchi" che ci conducano proprio al tipo di successo e significato che desideriamo.
Ma soprattutto, possiamo sempre concederci di indagare una volta in più se queste fissità siano davvero tali. La scienza stessa del nostro cervello, per esempio, sostiene che tante delle nostre facoltà mentali (memoria, attenzione, gestione emotiva, capacità di risolvere problemi, etc.) sono delle funzioni in continua evoluzione, migliorabili attraverso la giusta sinergia tra lavoro, studio e rimodulazione delle proprie convinzioni. Ma soprattutto, oggi sappiamo bene che la cosiddetta "neuroplasticità", ossia la capacità del cervello di stabilire nuove connessioni neurali, non è un’esclusiva dei cervelli “giovani”, e che quindi questo processo può essere innescato (pur con le dovute discriminanti) a qualunque età. Siamo letteralmente "progettati dall'evoluzione per crescere", e per farlo anche (soprattutto?) a partire dalle condizioni più avverse. Questa caratteristica è ciò che ci ha consentiti, come specie, di raggiungere vette straordinariamente elevate e significative; perché sottovalutarne, quindi, l’impatto che può avere su di noi come individui?

 

"È imperativo non arrendersi mai a un presunto determinismo genetico e diviene necessario acquisire piuttosto una consapevolezza più realistica dei propri spazi di crescita e manovra."

 

Imbraccia una sana "umiltà autoterapeutica".

Mai come oggi, trovo sia straordinariamente sana l'idea di riscoprire una certa forma di “umiltà autoterapeutica”. Non si tratta di sminuirsi o di ridurre il proprio valore, ma di liberarsi, almeno in parte, da quell'esigenza, profondamente stressante, di essere sempre in linea con l'ultimo trend, di rispondere alle aspettative del proprio pubblico social, di avere sempre qualcosa da dire. È essenziale comprendere che non ogni dettaglio, ogni sfaccettatura o manifestazione di noi stessi deve necessariamente essere risaltante, rilevante o profonda. È perfettamente accettabile, di tanto in tanto, essere semplicemente "un po' meno". Abitiamo un mondo con risorse finite e siamo noi stessi, in fin dei conti, un complesso di risorse limitate. Se pertanto riusciamo a liberarci da questo "occhio onnipresente" in cui o si è costantemente al meglio o si "perde" una qualche competizione immaginaria, inizieremo a gestire queste risorse con maggiore consapevolezza. Non le sprecheremo inutilmente, ma le impiegheremo quando e dove avranno un reale impatto positivo su di noi e sul contesto circostante.
E no, questo non è affatto un atto di auto-svalutazione. Al contrario, è un modo per non diventare una semplice eco nel caos digitale della società odierna, ma per ritrovare un approccio più umano, rilassato e gratificante con il mondo; e forse, perché no, per diventare degli autentici punti di riferimento su cui fare affidamento.

 

"Se in un gioco estremamente competitivo tutti usano la stessa strategia, è possibile che la mossa più vincente consista nell'adottare la strategia opposta, per quanto controintuitiva."

 

Probabilmente vuoi "solo stare meglio"

Se stai attraversando un brutto periodo, in cui "non sai bene chi sei", o ti risulta difficile far tuo un senso sano di motivazione ed energia, probabilmente "vuoi solo stare meglio". Non perché il problema in sé sia banale, ma perché ne è importante una sua definizione più corretta e precisa, così da capire dove le risorse vanno allocate più efficientemente. Prova pertanto a mettere da parte tutte le vuote sciocchezze sull' "essere meno insicuri" o "credere di più in sé stessi" e punta a massimizzare il tuo senso di armonia, a ottimizzare il tuo progetto esistenziale, a incrementare il tuo senso di "comodità" nelle tue idee, nella tua pelle, nella tua vita. Più facile a dirsi che a farsi ovviamente (è in fondo qualcosa di cui, come specie, scriviamo, parliamo e dibattiamo da millenni, ma i primi passi possono essere incredibilmente semplici: chiedi aiuto a un professionista, comincia a prestare più attenzione ai segnali del tuo corpo e della tua mente, predisponiti a metterti in dubbio, riconsidera le tue priorità, dotati di strumenti di gestione emotiva e dello stress. Ritrova energia prendendoti più cura del tuo corpo. Quando ci prendiamo più cura di noi, una maggiore "stima" nei confronti delle proprie azioni e dei propri pensieri diviene una proprietà emergente, spontanea, piuttosto che un obiettivo da "ingegnerizzare" in qualche modo. Ma soprattutto, come suggerisco spesso, se vuoi qualcosa di più profondo, intrinseco e "stabile" in cui "credere ciecamente", prova con questo: il tuo cervello è uno degli organi più sofisticati mai "progettati" dall'evoluzione. Ha condotto l'umanità dalle caverne alle stelle in un battito di ciglia cosmico. Nonostante le sue imperfezioni, possiede una straordinaria capacità di apprendimento, adattamento e risoluzione dei problemi. Non sottovalutare mai la sua resilienza, creatività e ingegno, né la tua capacità di utilizzare queste risorse per superare le avversità e trovare del nuovo significato. Il tutto, provando a rimanere sempre memore di un principio prezioso: la realtà è sempre molto più ricca e varia di ciò che ci viene suggerito in una fase di sconforto.
Grazie, in bocca al lupo sempre, e... alla prossima!

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Danilo Lapegna

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