"Ikigai dinamico": è fondamentale che tu non sappia cosa fare della tua vita

"Ikigai dinamico": è fondamentale che tu non sappia cosa fare della tua vita



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La famigerata, a tratti un po' fastidiosa domanda "cosa vuoi fare da grande?", che ci accompagna fin dall'infanzia può essere ormai vista quasi come una sorta di mantra sociale, un'eco che risuona in ogni angolo della nostra esistenza. Questa incessante ripetizione, interiorizzata da bambini e poi già parte di noi quando siamo adolescenti, inevitabilmente plasma la nostra percezione del futuro e delle scelte di vita. È come se ci venisse costantemente ricordato, dalle nostre stesse "voci interiori", che ci sono delle tappe obbligate, delle scelte prestabilite. E così, ogniqualvolta non abbiamo una risposta pronta, ci sentiamo come se ci mancasse un pezzo, come se stessimo deviando da un percorso prestabilito che tutti, magari, sembrano seguire alla perfezione. Tuttavia, anche quando ci troviamo in quel limbo di indecisione, il sentiero non è completamente segnato e la direzione non è chiara, emerge a mio avviso un potenziale unico: la possibilità di (e qui perdonatemi per la frase un po' retorica) riscrivere le regole stesse del gioco.
Questo vero e proprio "punto di svolta", in cui ci rendiamo conto di esserci distaccati da un modello prefabbricato, rappresenta infatti anche il nostro "luogo" di maggiore potenziale; uno spazio in cui possiamo cominciare a interrogarci sul significato più autentico delle nostre aspirazioni. Questo sentimento di rigetto verso un percorso già tracciato è in realtà un prezioso segnale che dentro di noi arde il desiderio di esplorare e scoprire nuove possibilità. È come se il nostro essere interiore sapesse che c'è più da vivere che non la semplice esecuzione di un copione già scritto. E questa consapevolezza va ascoltata, coltivata, in quanto può essere il nostro più potente motore di crescita.
Come detto anche in un magnifico articolo di Tom Morgan: "Credo che la tua attuale sofferenza sia direttamente proporzionale al tuo potenziale futuro. Non riesco a immaginare che possa essere diversamente. Se non avessi un potenziale latente e fossi soddisfatto/a di rimanere intrappolato in una vita mediocre, non proveresti alcun dolore psicologico."
Chiaro che tutta questa non vuole essere l'esaltazione di una vita spesa "girando in tondo" e non possiamo certo negare che il seguire una direzione precisa presenti i suoi vantaggi. Fornisce una struttura, un ordine, una sequenza di passaggi che ci consentono di ottimizzare energie e risorse. Inoltre, è possibile che alcuni di voi abbiano avuto le idee chiare fin da piccoli su cosa diventare, e va benissimo così. Il punto qui infatti non è tanto il rifiutare il concetto di direzione, quanto l'idea che sia "male" il vivere una fase di incertezza. Dobbiamo provare a considerare che il problema non sia in noi ma nel fatto che il nostro contesto, il conosciuto, l'ovvio, non siano sufficientemente attraenti a fronte di ciò che desideriamo per noi stessi. Dobbiamo valorizzare il fatto che il nostro istinto ci dica di rifiutare il circostante e dobbiamo usare questa spinta per imbracciare quell'importantissima "razionale ribellione", necessaria per costituire un percorso più ricco, autentico e autodeterminato. Il tutto non in un vuoto "attacco" al preesistente, ma piuttosto vivendo per dimostrare che modelli alternativi e più funzionali non sono solo possibili, ma sono necessari. Le grandi innovazioni e rivoluzioni, ma soprattutto le grandi "oasi di felicità", a mio avviso, provengono tutte da qui.
Ma soprattutto, forse, dobbiamo "allentare" un po' sul concetto del vivere secondo uno schema o una struttura "a tutti i costi". Possiamo (e forse dovremmo) certamente darci dei punti di riferimento e delle linee guida, ma diviene fondamentale anche comprendere che un'esistenza appagante può nutrirsi solo di un "piano minimale", di un insieme di "pilastri" che favoriscano flessibilità, adattamento e, soprattutto un approccio di "vita come avventura ed esplorazione".
Adottando infatti questo approccio, il nostro focus si può spostare dal "trovare una direzione" al ben più liberatorio "crearsi un cammino". Si passa dalla staticità di una sequenza di caselle da spuntare a un processo dinamico, pieno, che richiede sicuramente coraggio, ma a mio avviso è anche l'unico che può schiudere possibilità inedite, ricche e degne di essere vissute.

 

Lo strumento pratico: "Ikigai dinamico"

Il classico modello dell'Ikigai giapponese è qualcosa di cui abbiamo già parlato in questo e questo articolo, spesso fornendone modelli alternativi. Per chi non sapesse di cosa si tratta: è uno strumento pratico e filosofico che si focalizza sullo studiare l'intersezione tra quattro campi: ciò che amiamo, ciò in cui siamo bravi, ciò di cui il mondo ha bisogno e ciò per cui possiamo essere pagati. Nonostante infatti si tratti di una premessa interessante e valida, a mio avviso soffre di due problemi principali: l'idea che si debba "trovare a tutti i costi una strada", unita al principio che possiamo sempre risponderci onestamente sulle nostre priorità valoriali. Laddove il secondo articolo di quelli citati prova a parlare di quest'ultimo problema, proviamo a sfidare la prima idea attraverso il metodo che chiameremo dell' "Ikigai Dinamico":
  1. Esperienze-chiave: invece di definire singolarmente i 4 campi dell'Ikigai, inizia con la scrittura di esperienze, attività e momenti in cui ti sei sentito/a particolarmente coinvolto, felice e "al posto giusto". Non cercare di categorizzarli, ma semplicemente annota le esperienze per ciò che sono e per le sensazioni che ne hai tratto.
  2. Pattern emergenti: osserva i pattern che emergono da queste annotazioni. Ad esempio, potresti notare che la tua massima realizzazione arriva nel "centro" del coinvolgimento in attività creative, di problem solving, o di lavoro di squadra. Questi pattern, attenzione, non devono essere indicatori di categorie fisse, ma essere astratti il più possibile, in modo da rappresentare dei "flessibili indicatori" delle tue inclinazioni e interessi. Dei "pilastri" attorno a cui poter "ruotare".
  3. Connessioni dinamiche: ora, anziché cercare un singolo punto di intersezione, considera come questi pattern possono connettersi dinamicamen.te nel tempo. Ad esempio, un interesse per l'arte e per l'insegnamento potrebbe unirsi in un progetto di educazione artistica, ma potrebbe anche evolversi in futuro in direzioni diverse. Considera, per esempio, di "scegliere subito" di dar retta alla connessione che sembra avere il miglior rapporto costi-benefici. Al contempo, annota tutte le altre connessioni potenziali per il futuro, così da implementarle non appena sembra essersi creato il "momento propizio". L'importante in questo processo è agire velocemente, con azioni che magari siano "a basso costo", così da poter revisionare e rifinire facilmente in futuro.
  4. Revisione continua: rivedi periodicamente le tue annotazioni e i pattern emergenti. L'"Ikigai Dinamico" è un processo continuo, non l'impostazione di un obiettivo fisso. Man mano che cresci e cambi, anche i tuoi pattern e connessioni cambieranno. Alloca magari un giorno specifico alla settimana per chiederti: "Cosa è cambiato in me e nelle mie esperienze dall'ultima volta che ho fatto questo esercizio?" e "Ci sono nuove attività o esperienze che sento dovrebbero essere aggiunte alla mia lista?". E soprattutto, prova a risponderti onestamente, senza troppo temere di darti qualche risposta un po' "scomoda".
  5. Sperimentazione e aggiustamento: infine, sperimenta continuamente con azioni pratiche che rispecchino le tue connessioni dinamiche. Rifletti su queste esperienze e aggiorna il tuo processo di esplorazione man mano, in base a ciò che impari.
La sicurezza e la familiarità di un percorso predeterminato possono facilmente trasformarsi in una gabbia dorata, limitando la nostra capacità di esplorare, di metterci in gioco, di vivere pienamente. Non avere una mappa dettagliata non significa affatto che siamo perduti. Ma anzi, dobbiamo ricordarci che c'è qualcosa di potente nell'incertezza, in quanto prezioso promemoria che al di là dell'ovvio e del banale può esserci uno spazio di potenziale (quasi) illimitato

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Danilo Lapegna

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