Sono di recente "precipitato" in un conflitto tra due realtà, entrambe vere a loro modo, e sulla cui risoluzione non ho una risposta semplice.
Come si potrà immaginare, mi piace seguire podcast medici come quello di Andrew Huberman o Valerio Rosso. O comunque, mi piace fruire di risorse il cui fulcro sia l'importanza di un buono stile di vita. Per capirci: parliamo di contenuti che per lo più ruotano attorno all'importanza di esercizio fisico, alimentazione sonno e simili. Trovo siano estremamente utili per "rischiarare le idee" a persone di ogni generazione e fondamentali per chi, come me, mette una buona qualità della vita al centro delle proprie priorità (che tanto, come mi pare almeno di aver capito, non siamo menti che abitano un corpo, ma degli psico-soma, degli equilibri mente-corpo che per star bene richiedono che entrambi questi aspetti del sé vengano curati). Inoltre, trovo che la diffusione di risorse mediche simili sia ideale per provare a smontare un po' quella cultura pseudoadolescenziale (ma ancora presente in moltissimi adulti), che glorifica e rende "cool" uno stile di vita un po' trascurato e autodistruttivo. A guardare certi profili social sembrano tutti dei veri e propri Bohemién contemporanei, con la tendenza autodistruttiva minima necessaria per rimanere instagrammabili, e senza nulla di vagamente artistico o culturale di contorno.
Visto tuttavia che reputo intellettualmente onesto l'atto di provare a smontare, almeno ogni tanto, le proprie certezze (che tanto quelle più valide rimarranno in piedi a prescindere), sono andato a cercare alcune critiche significative, più che ai produttori di contenuti in sé, al "trend contenutistico del lifestyle" nel suo complesso. Al di là delle "solite" critiche alla mancanza di precisione scientifica nel citare questo o quello studio (che sì, è un problema enorme, ma ne parlerò probabilmente un'altra volta), una critica che mi ha colpito proveniva da un altro medico divulgatore di cui, mi perdonerete, non ricordo il nome. Secondo quest'ultimo, la "cultura dei contenuti del lifestyle" pecca di una sostanziale, ripetuta omissione: del fatto che siamo solo relativamente in controllo della nostra salute. La scienza infatti dice che in gran parte il nostro stato di salute è dovuto a fattori come ambiente, storia familiare, esperienze infantili e PURO CASO. Quindi, secondo quest'ultimo medico-divulgatore, non è etico vendere, anche se in buona fede, l' "illusione" secondo cui possiamo semplicisticamente gestire la nostra salute attraverso il "pannello di controllo" dello stile di vita. Sia chiaro, non credo che Huberman, Rosso od altri abbiano mai detto niente del genere esplicitamente. Però il problema del medico in questione è che secondo lui, così facendo, è questo il messaggio che passa.
Senza voler discutere la critica medica nello specifico, né il fatto oggettivo che siamo padroni solo in parte di ciò che comunichiamo, ciò che mi ha colpito è il discorso più ampio sulla verità e sul caso: il caso è sempre lì, a favorire o smontare ogni nostro tentativo di progresso. In diversi contesti è infinitamente più influente delle nostre azioni, eppure, sono altrettanti gli studi che mostrano che CREDERE nel controllo, su più tentativi e sul lungo termine conduce comunque a risultati migliori.
La vedete la contraddizione? Da un lato, la necessità "etica" di dire una cosa vera. Dall'altra, il fatto che questa verità ("non hai poi così controllo") non è pragmaticamente utile. L'illusione del controllo, in qualunque campo la applichiamo, non solo può essere incredibilmente funzionale, ma è evolutivamente adattiva e può fare addirittura da discriminante per la sopravvivenza stessa.
Qui potrebbe sorgere facilmente l'obiezione secondo cui "eh vabbè, ma basta ribadire che migliorare il proprio stile di vita incrementa le proprie PROBABILITA' di condurre un'esistenza di qualità, senza vendere alcuna garanzia assoluta". E sì, giustissimo in teoria... ma nella pratica funziona fino a un certo punto!
Quando facciamo queste obiezioni tendiamo sempre a partire dal (completamente erroneo) assunto secondo cui tutti hanno tempo per meditare sulle probabilità, soppesare i pro e i contro, prendere decisioni dopo lunghi periodi di riflessione etc. ma nella realtà non è affatto così. Il medico di poco sopra che criticava la "cultura del lifestyle" in virtù del "serve più verità" non dico che viva dell'assunto secondo cui sono tutti medici come lui, ma poco ci manca. Di sicuro vive nell'illusione che molti condividono con lui una parte sostanziale delle sue risorse culturali e cognitive. Smettiamola di provare a credere altrimenti: nella maggioranza dei casi i messaggi che funzionano meglio sono quelli più semplici e diretti perché il nostro cervello è fondamentalmente cablato così. Abbiamo risorse cognitive estremamente limitate, ed è possibile che elaboreremo queste informazioni attraverso il nostro "pensiero veloce", istintivo, che le processerà in termini di sì/no, vero/falso.
Credere di avere meno controllo potrebbe sfociare, in molti più casi di quanto ci immagineremmo, nell'illusione di non averne per niente. E se cominciassimo a credere di non avere più controllo su niente, la maggior parte di noi si arrenderebbe del tutto, rinunciando a qualunque forma di azione o progresso.
Dobbiamo quindi rassegnarci alle verità semplici e parziali? Non necessariamente, ma dobbiamo accettare che quando comunichiamo (anche a noi stessi) è possibile che saranno quelle più immediatamente e facilmente recepite. Perché siamo primati scesi dagli alberi solo qualche centinaio di migliaio di anni fa, anche se amiamo credere il contrario.
Sono un pragmatista e quindi tendo a propendere verso l'idea che una verità, anche se parziale, dovrebbe vincere se è più utile o funzionale. Credere di avere più controllo sulla propria salute (o su altri esiti delle proprie azioni) rispetto alla realtà conduce a risultati più desiderabili? Allora meglio questo che l'opposto. Ragionare più in termini di probabilità? Va bene, ma è possibile che ci riusciremo molto meno spesso di quanto crediamo. Dobbiamo quindi "rassegnarci" al fatto che, almeno in certi contesti, vivere di menzogne utili, sebbene parziali, è molto più funzionale ed efficiente rispetto al cercare il vero?
Come premesso a inizio articolo, non ho una risposta definitiva qui. E voi cosa ne pensate?