Perché la mia generazione, quella millennial, fa schifo

Perché la mia generazione, quella millennial, fa schifo



In questo articolo parliamo di:

Un'immagine che rende bene l'idea della generazione millennial (i nati tra l'inizio degli anni '80 e la metà degli anni '90) è: siamo quelli che riempiono le stories di Instagram con mille “be unique, be foolish, be yourself”, e poi sono scandalizzati, in massa, dall’idea di modificare leggerissimamente la ricetta della carbonara. Oppure: vediamo un oggetto che ci piace, e potrebbe portarci gioia, o migliorare la qualità della nostra vita, e invece di acquistarlo postiamo la GIF di “Shut up and take my money”.

 

Il post classico di un millennial quando vuole comprare una cosa. Che "no guardi, veramente ci sarebbe il tasto acquista, il carrello etc. insomma quelle robe lì"

 

In una trentina d'anni siamo passati (almeno in Italia) dal totale offline al sempre online. Siamo rimasti terrorizzati dal cambiamento sociale e tecnologico e ci siamo paralizzati, rintanati nel conformismo assoluto e nel modo in cui la memetica ci permette di esorcizzare illusoriamente questo terrore. Siamo la generazione del "posto ergo sum".
Invece di essere i principali traghettatori di questo insieme di cambiamenti, invece di essere i primi artefici di modelli alternativi che potessero adattarsi alle nuove realtà, abbiamo guardato indietro, e abbiamo creduto che diventare adulti significasse copiare i comportamenti più difettosi dei nostri genitori. Mentre i nostri "fratelli" anglosassoni traducevano il loro fallimento generazionale in una corrente vuota e narcisista come quella "hipster" (il cui massimo conseguimento sono state le barbe lunghe e l'esportazione dei caffelatte di Starbucks), noi in Italia siamo rimasti lì, all'ombra e in riverenza della generazione precedente.
Abbiamo rinunciato a innovare realmente, a prenderci carico seriamente di problemi come quello ambientale e climatico. Abbiamo rinnegato l'idea che diventare adulti significasse lottare per imporre i nostri valori e, nelle nostre ansie esistenziali, abbiamo silenziosamente accettato di arrestarci alle due briciole, economiche e culturali, che la generazione dei nostri genitori ancora poteva passarci. Forse, per consentirci di conservare l'illusione di futuro dorato in cui siamo nati, siamo cresciuti ed è probabilmente già morto nei primi anni 2000. E così siamo stati zitti, a berci il peggio di quell'universo: le imposizioni paternalistiche di lavori terrificanti, salari ridicoli e tendenza al consumo acritico. Quest'ultima poi è palese, visto come siamo diventati molto presto "carne da macello" per ogni terrificante riproposizione nostalgica delle simbologie anni '80 e '90. Tutto pur di mantenere vivi gli ultimi frammenti di quel miraggio infantile, e niente, abbiamo già passato il testimone a chi verrà dopo di noi. Le nuove generazioni probabilmente avranno opportunità mai viste prima grazie alle nuove tecnologie basate sull'AI (che sì, necessitano dei loro punti di attenzione, ma quello è un discorso che potete leggere in un altro mio articolo), mentre noi millennial medi, beh! Per molti di noi "la AI è già il male assoluto". I social network li abbiamo amati, le AI odiate. Forse semplicemente per una questione anagrafica (i primi sono arrivati nei nostri "accoglienti" venti anni, i secondi nei nostri tardi trenta-iniziali quaranta?). Oppure, azzardo per gioco un'ipotesi più "poetica": forse perché mentre i primi ci consentivano di indorare le nostre pillole e mostrarci per ciò che non siamo mai stati, le seconde ci mettono finalmente di fronte alla realtà di un mondo che avanza anche senza i nostri simboli e le nostre mitologie?
Come accade con tutti i discorsi generazionali, mi rendo conto che "c'è di più di questo", "è molto più complessa di così", "non tutti sono così", etc. Ed è verissimo. Abbiamo "fatto anche cose buone" (!!!), e continueremo a farne. Ma sono un gran fan di filosofi "caustici" alla Byung-Chul Han e, senza pretesa alcuna di paragonarmi all'immenso, a volte penso che il discorso fatto "con l'accetta" sia un po' più efficace di quello che cerca il compromesso a tutti i costi. E proprio quest'ultima, forse, è un'idea ancora preziosamente custodita dalla mia generazione: senza attrito, senza frizione, non può esserci crescita, né intellettuale né di alcun altro genere. Riusciremo a trasmettere questa consapevolezza alla generazione dei futuri adulti, nativi social e così desiderosi di un mondo perennemente "Tiktokkabile" ed edulcorato? (e che proprio per questo, tra le altre cose, è già annoverata tra le generazioni più infelici di sempre?)

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Danilo Lapegna

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