La tecnologia e i social media, pur essendo strumenti potentissimi di connessione e espressione, hanno creato "script sotterranei", paradigmi invisibili che influenzano profondamente il nostro modo di interagire e percepire il mondo. E così, sembriamo ormai rassegnati al fatto che ogni parola (e pixel) debbano sottomettersi al ritmo incessante del "dover essere" o "dover dire". Emerge sempre più un'ansia sottile, quasi impercettibile: è l'ansia di non essere abbastanza, di non apparire abbastanza, di non avere colto abbastanza in tempo l'ultimo trend. Ansia che è sempre stata lì, sia chiaro, ma diviene moltiplicata per mille sotto i riflettori digitali. È un costante stato di tensione, che non solo può soffocare ogni tentativo di fermarci, di trovare una pausa, o di trovare senso e significato attraverso la riflessione, ma ci spinge in una danza frenetica, dove ogni passo rischia di essere sempre inevitabilmente "un po' fuori tempo".
Tuttavia, proprio in un contesto del genere, diviene fondamentale "ribellarsi"; diviene fondamentale ricordarsi che la vera evoluzione individuale, quella ricerca di qualcosa che trascenda i confini imposti dalle aspettative altrui, inizia quando decidiamo di arretrare, di non unirci a questo rumore. Non è, e non sarà mai un compito semplice, ma proprio per questo può offrirci un significativo vantaggio competitivo. Ritrovare il silenzio vuol dire ascoltare le proprie emozioni, riconoscere i propri bisogni e desideri, affrontare le proprie paure. È un viaggio che può apparire come solitario e spaventoso, ma proprio per questo, è essenziale per ritrovare autenticità e autodeterminazione.
Il consiglio pratico: rinuncia a dire qualcosa
In un clima del genere, uno dei più potenti strumenti di ribellione risiede in una scelta spesso trascurata: quella di non esprimere alcuna opinione, di rinunciare a unirsi al trend o alla polemica di turno. Il che non comporta certo indifferenza o rinuncia a pensare criticamente, ma piuttosto una scelta consapevole di farlo solo quando è utile, solo quando è pratico, solo quando ciò si allinea con i nostri valori; ma soprattutto, solo quando ciò si allinea con una comprensione più complessa e profonda dei problemi che lo richiedono.
Immagina una conversazione o un dibattito in cui, invece di affrettarti a formulare una risposta, a postare una story, una considerazione scritta o un TikTok, ti concedi invece un momento di pausa. Potresti renderti conto che proprio in questo spazio risiede il potere di ascoltare davvero, non solo le parole degli altri, ma anche il linguaggio silenzioso dei tuoi pensieri interni. È nel momento in cui puoi onestamente dire "Non lo so" o "Devo pensarci" che puoi riconoscere che la tua comprensione è in fase di evoluzione e afferrare, pertanto, l'importanza di dedicare a questo processo evolutivo le giuste risorse o energie.
Questa pratica di rinuncia temporanea all'espressione di un'opinione emerge come invito potente a esplorare più a fondo. È un'ammissione che la realtà è complessa e che le nostre prime reazioni possono essere superficiali. Allo stesso tempo, è una dichiarazione di umiltà, un riconoscimento che non abbiamo tutte le risposte e che ciò è non solo accettabile, ma anche necessario per un autentico processo di apprendimento. Inoltre, tutto ciò rappresenta un'immensa dimostrazione di forza e sincerità. In un'epoca flagellata da guru, sciamani e false autorità, riconoscere i limiti della propria conoscenza è un atto d'amore verso un modello di apprendimento alternativo, "sano" in quanto genuino, profondo e scevro da magie ed emotività. E quindi, verso un rapporto sano e sostenibile con noi stessi, con la realtà, con gli altri.
"Disabbonarsi" al proprio stesso "streaming" è lo strumento più potente con cui possiamo emergere realmente nel mondo.