La tecnologia e i social media, pur essendo strumenti potentissimi di connessione ed espressione, hanno creato "script sotterranei", paradigmi invisibili che influenzano profondamente il nostro modo di interagire e percepire il mondo. E così, sembriamo ormai rassegnati al fatto che ogni parola (e pixel) debbano sottomettersi al ritmo incessante del "dover essere" o "dover dire". Emerge a mio avviso sempre più un'ansia sottile, quasi impercettibile: è l'ansia di non essere abbastanza, di non apparire abbastanza, di non avere colto abbastanza in tempo l'ultimo trend. Ansia che è sempre stata lì, sia chiaro, ma diviene moltiplicata per mille sotto i riflettori digitali. È un costante stato di tensione, che non solo può soffocare ogni tentativo di fermarci, di trovare una pausa, o di trovare senso e significato attraverso la riflessione, ma ci spinge a diventare dei "bit", eternamente un po' fuori posto, all'interno di un flusso informativo frenetico e caotico.
Tuttavia, proprio in un contesto del genere, diviene fondamentale "ribellarsi"; diviene assolutamente essenziale ricordarsi che la vera evoluzione individuale, quella basata su consapevolezza e autodeterminazione, può iniziare solo quando decidiamo di fermarci, di riflettere, di non unirci al rumore esterno a meno che non lo desideriamo veramente. Scegliere ogni tanto di arretrare e "non dire niente" (che no ragazzi e ragazze, non equivale a fare un video sui social in cui diciamo di che non esprimeremo una determinata opinione sul fatto X) può rappresentare un profondo atto di saggezza. Un importante segnale che forse abbiamo ridato il "giusto peso" alle nostre esigenze più profonde piuttosto che al seguire i pattern sociali (e social) contemporanei "a qualunque costo". Incluso quello dello sfinimento, della rinuncia a qualunque forma di riflessione, contemplazione, o maturazione di idee complesse.
Il consiglio pratico, banalissimo: rinuncia a dire qualcosa
Questa pratica di rinuncia temporanea all'espressione di un'opinione emerge come invito potente a esplorare più a fondo. È un'ammissione che la realtà è complessa e che le nostre prime reazioni possono essere superficiali. Allo stesso tempo, è una dichiarazione di umiltà, un riconoscimento che non abbiamo tutte le risposte e che ciò è non solo accettabile, ma anche necessario per un autentico processo di apprendimento. Inoltre, tutto ciò rappresenta un'immensa dimostrazione di forza e sincerità. In un'epoca flagellata da guru, sciamani e false autorità, riconoscere i limiti della propria conoscenza è un atto d'amore verso un modello di apprendimento alternativo, "sano" in quanto genuino, profondo e scevro da magie ed emotività. E quindi, verso un rapporto sano e sostenibile con noi stessi, con la realtà, con gli altri.
Controintuitivamente (ma forse neanche tanto), "disabbonarsi" al proprio stesso "streaming" è lo strumento più potente con cui possiamo emergere realmente nel mondo.